venerdì 8 aprile 2011

economia del dono

Ultimi giorni a Marsabit. Sta volta per davvero.
Ieri è partita la tiritera dei saluti, delle visite, dei doni, delle promesse, dei "spero di tornare presto"...
Sono stata a casa di una vecchia amica con cui non condivido nessuna lingua ma con cui ci si capisce in modo diverso.
Sono andata a casa a sua e sono arrivata appena in tempo per impedirle di ammazzare un pollo per cucinarmi pranzo. Non sono riuscita ad evitare però i doni e i ringraziamenti. Per cosa poi, non ho fatto niente, qualche anno fa le ho mandato una foto a ricordare le risate insieme (era il periodo in cui l'imitazione full optional del camel era il mio forte). Ed ora mi sono ritrovata a condividere le sue difficoltà, ad ascoltare la sua richiesta di aiuto e a rifletterci su. La mia amica ha 4 o 5 figli, è sola con la madre e uno dei suoi bambini soffre di un grave handicap. Vive in una piccola casa di muratura e grazie al progetto Shelter della parrocchia (quello delle donne che confezionano le collane che poi vendiamo ad Alba) riesce con molto orgoglio a far studiare i suoi figli.
Però ora c'è da pensare a suo figlio, c'è da trovare un posto in cui possa essere curato e accudito a dovere. Da sola lei non ce la fa più.
C'è da dire che non è sola, la parrocchia le è di sostegno e anche le vicine e le amiche del "quartiere".
Comunque mi sto chiedendo come potrò mai essere un'amica, come lei dice, speciale?
Non lo so, il discorso dell'aiuto economico è scontato, ma potrò andare oltre? Non essere solo parte di un rapporto di scambio... l'economia del dono mi ha investita di un dovere, quello di rispondere all'offerta di amicizia fatta, confermata e riconfermata più volte dallo scambio di piccoli doni, di vistite e di abbracci. Ora sono io a dover ricambiare perchè ho ricevuto abbondanti pensieri per me e per la mia famiglia. Ma come fare? Come fare per non essere solo un "bancomat"?
Non che lei mi veda così, non ho dubbi sulla sua buona fede. Ma non ho nemmeno dubbi sul fatto di essere entrata in un rapporto antropologicamente parlando basato sul "dono", sullo scambio più o meno consapevole di cose, di oggetti e di "pensieri" che mantengono in vita il rapporto. E non è un caso che la nostra amicizia sia ripartita in quarta quando sono andata a trovare lei all'ospedale con un piccolo pensiero.
Ma allora questa amicizia si stopperà fino a quando io non tornerò qui o riusciremo a mantenerla viva, mandandoci lettere e pensieri da lontano?
Ecco su cosa riflettevo in questi giorni.
Avevo lasciato l'economia del dono nei libri di un esame di antropologia economica ed ora, mi è piombata addosso forte, bella e ambigua.

domenica 3 aprile 2011

Scoperte letterarie in salsa missionaria!

Non sono mai stata un'appassionata di gialli. Ho sempre snobbato con sufficienza le storie di omicidi e di investigatori.
Ho letto il mio primo giallo qui a Marsabit.
Dopo cena non c'è molto da fare, anche nelle prime ore del pomeriggio in realtà, e da brava nottambula ho dovuto abituarmi a mettermi a dormire in orari che nemmeno nel 1987 mi capitava di frequentare. Credo di poter contare sulle dita delle mie mani le volte in cui mi sono addormentata prima delle 22... fino a quando non sono approdata qui, dove con il buoi si va a letto e con l'alba si ritorna attivi. Mi sono abituata piano piano e sto anche apprezzando il fatto di svegliarmi alle 6.30 (mezzora prima della sveglia) riposata. Però, prima di dormire ho necessità di leggere. E' sempre stato così.
Ho finito i tre romanzi che, provvidenzialmente, Tozzi e Matteo mi hanno regalato prima della partenza. Poi ho letto quelli trovati in casa di Patrizia. Poi ho dato fondo a Novecento di Baricco, affettuosamente venuto in trasferta con me. Era ancora febbraio quando l'ho divorato in due serate.
E poi?
Ho attaccato la Bibbia. L'ho attaccata con la determinazione di uno studente di teologia, seguendo i consigli di una breve guida della mia Bibbia nuova di pacca... Così ho piano piano ripassato ( o scoperto??) la storia del popolo di Israele.
Non voglio peccare di presunzione, non l'ho letta tutta... a pezzi qua e là ho scoperto capitoli e aneddoti a me ignoti.
E poi sono entrata nella libreria/archivio della parrocchia per cercare documenti utili alla mia ricerca... e ho trovato un tesoro (per me che sento la mancanza fisica dei miei libri) fatto di un buon numero di volumi in italiano, oltre a quelli in inglese e swahili.
Tra un trattato di teologia, un atlante decrepito e un libro dedicato al Palio degli asini di Alba, ho scovato un romanzo, la raccolta "In viaggio col delitto" di Agatha Christie.
Non nego la mia delusione. Il giallo è l'unico genere che non mi entusiasma, proprio Poirot doveva essere l'unico romanzo trovato?
Ma non ho fatto la schizzinosa. L'ho iniziato e, meraviglia! Ho finito le 500 e oltre pagine in meno di una settimana. Tre racconti bellissimi e intelligenti.
Fu così che Erikà scoprì Agatha Christie a Marsabit....
Mi sono ripromessa di fare mia la bibliografia completa dell'autrice inglese (che tra l'altro ha una biografia degna di uno dei suoi personaggi).

Finito il mio primo giallo mi sono di nuovo ritrovata a digiuno. Che fare?
Sono tornata nella biblioteca, decisa a tentare qualsiasi cosa pur di non mettermi a leggere trattati religiosi in inglese.
La mia paziente ricerca è stata premiata a dovere. Due, dico due, romanzi! Una manna!

Il primo è "Il vicolo del mortaio" di Nagib Mahfuz, interessante affresco di un vicolo popolare de Il Cairo. Letteratura araba, musica per le mie orecchie! Divorato!

L'altro libro è di tutt'altro genere, non l'ho ancora finito. Ho iniziato a leggere le prime pagine con un po' di timore e diffidenza come mi capita spesso con i bestsellers. Il libro è famoso, si tratta de "La città della gioia" di Dominique La Pierre. Che dire?
Leggelo, per ora non sono pronta per una recensione.

Mi sento di consigliare anche uno dei romanzi che Patrizia mi ha imprestato, si tratta de "La casa della moschea" di Kader Abdolah. Splendido, se siete appassionati di letteratura araba o di Medio Oriente in generale, non deve assolutamente mancare nelle vostre librerie!

sabato 2 aprile 2011

e poi...


Se penso ai due mesi passati, non mi sembra vero.
Il volo, il distacco e poi le prime paure da affrontare. Il caldo, la polvere, gli incontri. Le difficoltà, quelle superate e quelle senza soluzione.
Dopo il ritorno da Maikona, lunedì, il mio cervello è un po' entrato in stand by... spento. In vacanza insomma... e infatti, mi sono subito presa una mezza influenza e così mi sono anche concessa una giornata a letto (Sist. Anna Maria me l'ha concessa, anzi, imposta). Così mi godo questi ultimi giorni a Marsabit in quasi totale relax... girando sul rotondo come sempre... tra libri, internet e gli operai che stanno facendo i lavori qui in parrocchia.
A volte la noia prende il sopravvento, ma mi godo pure quella perché i tempi in Italia saranno altri e quindi faccio il pieno di "dolce far niente" per i tempi futuri.
Per ora il problema p che non ci sta tutto nelle valige...
Comunque venerdì prossimo lascio Marsabit per passare una settimana a Nairobi...

e poi si torna a casa...

martedì 29 marzo 2011

L'altro

A Maikona domenica pomeriggio il caldo aveva addormentato tutti. Dopo pranzo ci si ritira per riprendere le forze e, per quanto possibile, anche un po' di fiato cercado un po' di fresco nelle stanze.
Sto in camera mia per un'ora, poi esco. Non si smette di sudare a Maikona. L'aria immobile anche se il vento soffia, il sole è abbacinante nel cortile.
Ho caldo e non so che fare... bella combinazione, no? Comunque mi avvio verso la sala da pranzo sperando che il frigorifero sia acceso. Vi trovo Teso (la ragazze delle pulizie) intenta a guardare in modo strano la cucina. E davanti ai fornelli c'è Anna, la mamma di Fr Chris, intenta spadellare crepes!! Mi guarda, ride e mi allunga un piatto. Crepes alla marmenlla di albicocche! A Maikona! Devo dire che stato un dei momenti pù belli vissuti qui. Un po' perchè, diciamoci la verità, la cucina rumena in versione deserto non riuscivo proprio a gustarla, e poi perchè, insomma, trovare una mamma che cucina e ti dà la merenda è sempre una bella cosa! Meno male che Dio ha inventato le mamme!
Comunque mi gusto la crepes, buonissima! E gustandola ringrazio con il cuore per questo momento. Per questa persona trovata qui inaspettamente.
Forse non ci rendiamo conto di quanto abbiamo bisogno degli altri. Non intendo dire in senso retorico, ne intendo fare la strappa lacrime. Però mi accorgo ogni giorno che il primo bisogno che abbiamo è quello dell'altro.
E l'altro è Anna che cucina crepes perchè è domenica, è Antony che anche se con i soldi che gli do si compra mirà, alla fine mi trova un lorry per Marsabit. E' Anna Chirry che viene a piedi in parrocchia dalla sua manyatta per incotrarmi. E' Fr Fred che tenta di tranquillizzarmi ridendo e che poi mi accoglie in parrocchia, sempre ridendo. L'altro di cui ho bisogno, qui a Marsabit,è Isahia che si preoccupa e che mi dice di chiamarlo se avessi bisogno, è Sister Anna Maria che mi regala i limoni e mi intima di mangiare... potrei andare avanti così per un po'. Alla fine ho scoperto di non essere sola, ma di far parte della famiglia umana e di godere di esserne parte con altri.
Forse è per questo che rimango tanto delusa quando gli altri non rispecchiano l'idea che avevo di loro. E così mi sono un po' arrabbiata, un po' scocciata... perchè in quetso mondo di cui sono una silenziosa visitatrice, avevo bisogno di alcuni altri senza però trovarli... trovandone però molti diversamente!
Sono "scappata" da Maikona in fretta ieri pomeriggio. Un paradosso no? Aspettare tanto per starci così poco. (Un paradosso ancora pià grande per la mia ricerca... ma questo è un altro discorso...)
Però, memore dell'attesa, sono salita sul primo lorry che ho trovato e sono tornata a Marsabit. Tanta fretta perchè sta sera devo incotrare Don Renino, che tanto mi aiuta nella ricerca e tanto dimostra di avermi capita fin dall'inizio, dal prima volta in cui mi ha apostrata ridendo "Gli antropologi hanno le loro teorie e di lì non si smuovono...". E poi mi ha telefonato per accertarsi di riuscire a salutarmi, mica potevo deluderlo.

martedì 22 marzo 2011

si mbaya

Giorni di cambiamento e di relax allo stesso tempo.
Cambiamento perchè Patrizia è partita domenica mattina destinazione Nairobi e sta notte ha il volo per l'Italia. Ci ri-incotreremo a Nairobi due giorni prima il mio volo di ritorno a casa...
Così ho fatto trasloco in parrocchia, sarò ospite dei fathers... bello eh?
Ho già cambiato stanza (dopo solo una notte) visto che nella casa degli ospiti verranno ospitati i catechisti e Fr Fred ha commentato la cosa con un lapidario "troppi uomini per una donna..." e così sono stata dirottata nella stanza difianco alla cucina, ma almeno la porta ha una chiave...
Odio cambiare camera da letto ogni sera... dovermi abituare a rumori diversi, alla posizione del letto, agli odori, alla zanzariera... vabbè, comunque sono diventata cintura nera dell' adeguamento rapido...
In ogni caso domani vado a Maikona, Fr Eugene passa di qua e così posso viaggiare sicura con lui in macchina... la prima opzione era un fantastico lorry nel tardo pomeriggio, visto che il passaggio che avevo trovato con una macchina della diocesi mi ha tirato pacco...
Stare qui in parrocchia non è male, l'unico problema è che sono tentata di fare nulla tutto il giorno o di girare dietro a Isahia tra mercato e orto, dimenticandomi della ricerca...
Però nella libreria della parrocchia ho scovato un piccolo tesoro. Alcuni appunti mano scritti di Don Tablino... Chiaro che ho passato due ore a scartabellarli.
Ora devo trovare il modo di sviluppare alucni vecchi rullini con didascalie mitologici: Maikona 1976; Marsabit Giochi della Gioventù 1972... Not bad!

Le ultime due settimane sono state un po' di passaggio, lo svincolo tra il "sono appena arrivata" e il "tra un po' torno a casa".
Ma non è ancora il momento di verifiche e bilanci.

C'è una cosa di cui però sono molto felice e per cui mi sento molto fortunata: l'incontro con altri è particolarmente intenso. La possibilità di incontrare persone interessanti è davvero una grande cose. Arricchente e stimolante. E qui mi succede spesso, quasi ogni giorno. E ogni giorno scopro qualcosa di nuovo per me, anche senza interessare la ricerca, qualcosa di nuovo che mi dà una luce nuova sulle cose vecchie...

Questo post è abbasta inutile... solo che questa connessione wire less in parrocchia mi gasa un casino...

P.S: seguo preoccupata le notizie dalla Libia... preoccupata non per me, piuttosto per NOI in Italia. Isahia mi ha detto di tanquillizzare tutti, "Marsabit è così lontana dalla Libia, ora..."

mercoledì 16 marzo 2011

dall'altra parte del mondo

Dunque, questo post segue la scia di quello che ho pubblicato ieri.
Le cose non avvengono per caso.
Non andrò nei dettagli, solamente mi ha fatto molto riflettere come, dopo aver scritto la fiera di banalità, ieri arraivata a casa la stessa riflessione mi si è presentata, in modo diverso.
In occidente continuiamo a pensare alla povertà con i nostri vecchi schemi. Tu sei povero perchè non hai cibo, non hai vestiti, non hai acqua, non hai una casa... non hai denaro.
Questa visione stereotipata del povero si addice bene al nostro comportamento con il povero e, soprattutto con il "diverso". Lo schema è molto semplice: sei povero/diverso, io ti aiuto, faccio un'offerta, ti mando i soldi (tanto sono quelli a mancare, no?), basta che non porti la povertà/differenza in casa mia.
Perchè?
Paura? Ignoranza? Ipocrisia?
Non ho questa risposta.

Però quando si è dall'altra parte, anche per poco tempo, ci si rende conto che la povertà non è solo questione di soldi.
Si può essere sazi di cibo, di vestiti, di casa... ma poveri di libertà.
Libertà di studiare, di spostarsi, di parlare, di partecipare liberamente al progresso e alla globalizzazione del mondo.

Ci si rende conto di questa povertà solo quando si prova ad esercitarla, la libertà, e ci si scontra con il dato di fatto di non appartenere alla parte al sole del mondo. Di non essere occidentali.

Segnalo un blog, interessantissimo, di un giovane reporter... e qui devo ringraziare Enrico di avermi regalato il suo libro "Mamadou va a morire" e di avermelo fatto scoprire.

http://fortresseurope.blogspot.com/

martedì 15 marzo 2011

Mzungu habari?

Qui a Marsabit si aspettano le piogge. O anche solo una pioggia.
Secondo alcuni dovrebbero iniziare oggi, secondo altri alla fine del mese. Vedremo.
Intanto il clima è cambiato, sembra incredibile ma ieri mattina Milano ci faceva un baffo. La nebbia è spessa, umida, scende bassa e copre tutto. A lei va aggiunto il vento costante e la terra rossa che si appiccica, umidiccia, dappertutto. Insomma camminare per strada a Marsabit non è così semplice come farlo sul lungo mare di Loano. Ma dopo un po' ci si abitua.
C'è una cosa a cui, però, faccio fatica ad abituarmi, posso sintetizzarlo con “il colore della mia pelle”. Ok, forse sono gli altri che non si abituano, ma provo a spiegarmi meglio.
Sta storia che in Africa si vogliono tutti bene, che l'accoglienza è enorme e che tutti si salutano per strada è una favola inventata di sana pianta.
Se sei nero in mezzo a neri, nessuno ti saluta se non ti conosce.
Se sei bianco in mezzo a neri, però, tutti (o quasi) ti salutano. I bambini invece non ti salutano: inneggiano a te. Se poi questo inneggiare sia simpatico e affettuoso, o solamente una presa in giro non l'ho ancora capito.
La scena è questa. Erika, in versione Fantozzi contro tutti, tenta di mantenere l'equilibrio sullo stradone che porta in town combattendo una lotta silenziosa contro il vento e la sabbia alzata dalle macchine e dai lorry di passaggio. Da lontano un gruppo di bambini si accorge di lei: bianca, bionda, con i pantaloni e un andamento imbarazzante. E inizia il carosello: MZUNGU HABARI? HOW ARE YOU? MZUNGU HABARI, SISTERRRRRRRR, SISTAAAAAAAA... urlato allo sfinimento fino a quando io sono a portata di vista. Rispondere in inglese e in swaili è inutile, anche Perché alcuni si fanno domanda e si danno risposta da soli: MZUNGUHOWARETOUFINE...
Al di là del fatto che ci sono volte in cui vorrei solo farli stare zitti tutti e fargli presente che non sono la prima mzungu che passa a Marsabit e che chiedermi come sto mentre sto facendo una fatica boia è da maleducati, mi chiedo poi cosa rappresenti la mia persona agli occhi di questi bambini. E anche agli occhi degli adulti che mi salutano ridendo o che dicono ai figli di salutarmi (SEMA MZUNGU HABARI...)
Non so ho alcune ipotesi, ma è difficile capire a fondo questo rapporto mzungu- mwafrika...
Dunque, potrei rappresentare il benessere. La mia pelle parla chiaro, arrivo dalla parte ricca del mondo. Anche i miei vestiti parlano chiaro, le mie scarpe e la mia borsa. La mia macchina fotografica (anche se quasi mai è esposta...) poi parla chiarissimo. (Alcuni bambini chiedono dei soldi... “dammi i soldi”, rispondo in swahili: “akuna pesa...” (nessun soldo) e se ne vanno delusi). Rappresento un benessere che non possiedo e, di conseguenza, un rapporto di dipendenza e un modo di rapportarsi all'altro (richiesta - “elemosina”) che non mi va di rappresentare.
Sicuramente rappresento la Chiesa. Infatti mi chiamano Sister, come chiamano tutte le suore e tutte le bianche. Ho scoperto che i bambini chiamano mzungu anche le sisters di colore... questo è significativo dell'identificazione tra l'essere bianco e il mondo missionario. Sono poi una donna adulta (ben oltre l'età da marito) fuori casa da sola, non posso che essere una suora, no? Peccato che io non sono una suora e nemmeno lo diventerò...
E, infine, sono l'incarnazione della diversità, del diverso in quanto tale. La stessa parola mzungu è indicativa. Indica il bianco, ma prima ancora indica un qualcosa di alieno, di diverso e non sempre l'accezione è positiva. Per questo mi infastidiscono gli adulti e non i bambini. I bambini mi guardano solo con stupore, uno stupore innocente e basta. Gli adulti che mi guardano, che parlano di me tra di loro in borana fissandomi, che mi osservano manco fossi un alieno appunto, a questi vorrei proprio rispondere per le rime a volte.
Portare tutti questi significati scritti addosso non sempre è facile. Forse i primi tempi mi pesava di meno. Ora che ho preso un po' di confidenza con le cose, con i tempi e i modi, io per prima sento meno la differenza, anzi a volte non la sento proprio. Le urla dei bambini per strada mi ricordano questa pelle bianca che tante cose ha tatuate su di sé in quanto tale e mi infastidisce perché vorrei solo essere me stessa, senza nessun colore addosso. Il problema è che non posso non essere bianca, fuori e anche dentro, a volte.
Forse questo post potrà partecipare alla sagra delle banalità, però è forte a volte l'impatto di certe banalità, quando si è fuori casa. Questo giro lungo che l'antropologia costringe a compiere è forse una delle cose della cui utilità ed essenzialità per la nostra vita mi sono resa conto in questo tempo. Un giro lungo, in mezzo al diverso che ti richiede di spogliarti del tuo essere, delle tue abitudini, dei tuoi modi di fare per accedere ad altri, lontani e incomprensibili, e, solo dopo, per capire i tuoi.